Pubblicato ai suoi esordi su " Die Fackel", Ehrenstein fu anzitutto un irregolare nella cultura austriaca del primo Novecento: anomalo già in quanto "espressionista viennese" e anomalo per il suo ebraismo eterodosso e per il suo socialismo individualistico. L'autore offre una inconfondibile versione del monologo interiore in una prosa che trascorre dall'assurdo stralunato, al grottesco-esilarante, al disperatamente nichilistico. « Mi chiamo Tubutsch, Karl Tubutsch. Dico il mio nome solamente perché non possiedo altro se non questo nome»: così si presenta il protagonista di questo racconto che, quando apparve nel 1911, doveva suonare azzardato e provocatorio. E la sua carica, occorre aggiungere, è rimasta intatta. Bastano poche righe ed eccoci nel territorio di una certa «prosa assoluta»
- quella di Gottfried Benn o di Carl Einstein -, costruita come una sequenza di gemmanti associazioni e dissociazioni, in un continuo oscillare fra registri che vanno dall'assurdo di livida...