Se il suicidio è certamente il più violato fra i tabù
- oggi più che mai, come testimoniano le cronache -, rimane nondimeno, nella percezione comune, lo scandalo supremo, il gesto inaccettabile. Il diritto lo ha giudicato per molto tempo un reato; la religione lo considera peccato, condannandolo come atto di ribellione e apostasia; la società lo rifiuta, tendendo a sottacerlo o a giustificarlo con la follia, quasi fosse l'aberrazione antisociale per eccellenza. E non si può dire che siano mancate riflessioni e analisi
- da John Donne a Hume, da Voltaire a Schopenhauer, da Durkheim alla messe di studi psicologici e psichiatrici
- volte a spiegarlo. Il problema, nella sua essenza, è rimasto intatto. James Hillman capovolge qui ogni prospettiva. Come egli stesso scrive, non senza vigore polemico, questo libro «mette in discussione la prevenzione del suicidio; va a indagare l'esperienza della morte; accosta la questione del suicidio non dal punto di vista della vita, della...